Il bambino che 25 anni fa mi insegnò...

Gennaio 1998. Io, studente al secondo anno di infermieristica, dopo le feste natalizie inizio il mio primo tirocinio di quel nuovo anno. In pediatria!!!  "Oddio i bambini, che ansia!" mi ricordo di aver pensato prima di varcare la porta di quel reparto. In effetti, nei primi giorni, l'ansia non si placa per niente, mi sento impacciato e ignorante a fare qualsiasi cosa, e lo sono davvero! Avete presente un ragazzo 22enne alle prese per la prima volta con biberon, pappe, pannolini, pianti a dirotto? Ecco, un somaro fatto e finito! "Del resto se sei maschio, non è mica colpa tua!" mi dicono sorridendo bonarie le infermiere di reparto (sob!)

Finché un giorno trovo un bambino nuovo, un mingherlino pallido e secco secco, con degli occhialetti a lenti rettangolari e i capelli con la frangetta. Lo vedo lì che si aggira per il corridoio in pigiama guardandosi attorno. Mi vede e viene verso di me: "ciao, io sono B****, tu chi sei?" mi presento e gli dico che sono lì per imparare a fare l’infermiere. "Ah bene. Ma più tardi puoi fare una partita a calcetto con me?" "Certo, volentieri". 

"Chi è quel bambino, come mai è qui?" chiedo alle infermiere. "Lo conosciamo da quando è nato, ha l'HIV". Rimango scioccato. Siamo all'inizio del '98, l'HIV è ancora qualcosa che fa molta paura ed essere sieropositivi è ancora vista come una condanna. E B**** ha solo 11 anni.

Ha 11 anni ma ne dimostra al massimo 7 o 8 per quanto è minuto. Di testa però è già più grande. In preda a un rimescolio interiore dettato da interesse e preoccupazione insieme, ero andato a leggermi la sua cartella clinica trovandoci una cronaca impietosa: madre ex tossicodipendente deceduta quando era molto piccolo, padre assente, affidamento ai nonni materni, una lista infinita di ricoveri da quando è venuto al mondo e durante i quali si è trovato più volte nell'incertezza tra il farcela e il non farcela. Fino ad allora ce l'aveva fatta. Adesso però è di nuovo lì, ancora ricoverato con queste febbri che gli durano per giorni, a volte anche con il vomito e la diarrea, e spesso non può andare a scuola, anche se è molto diligente. Dopo la nostra prima partita a calcetto B**** cercherà spesso la mia compagnia, e fino alla fine di quel tirocinio ogni mattina prima delle 7 si farà sempre trovare in piedi, appena fuori dalla porta di entrata del reparto, ad aspettare me e Mara (la compagna di corso con la quale condivisi quel tirocinio) e accompagnandoci ad iniziare la nostra giornata. Più di una volta mi sorprenderà facendosi trovare, silenzioso come un gatto, dietro di me mentre svolgo le mie attività in reparto e a farmi tante domande su quello che sto facendo, su quello che vede in reparto o per chiedermi ancora un’altra partita a calcetto. Allora non me ne rendevo pienamente conto, ma non doveva essere molto facile per lui avere dei compagni di gioco nella sua condizione.

Qualche volta mi racconta qualcosa di sé. Una mattina mi fa vedere il suo diario su cui segna tutti i giorni i suoi compiti con ordine maniacale, in certi giorni in cima alla pagina di diario compare un numero scritto da lui: è il numero dei suoi linfociti, che chiede alla pediatra dopo ogni volta che esegue degli esami del sangue, se lo segna perché sa che da quel numero dipende tutta la sua vita.

Il mio tirocinio in pediatria durò solo un mese, ma mi spalancò un mondo. Per le cose che imparai grazie a B**** e ad altri bambini ai quali mi affezionai, e che mi rivelarono lati di me stesso che nemmeno sapevo esistessero fino ad allora. Per anni mi sono chiesto che fine avesse fatto B****, e se poi, alla fine, ce l'avesse fatta davvero. Finché, ad Aprile del 2020, in piena emergenza Covid, mi sono ritrovato a lavorare con Giovanna, una delle infermiere che avevo conosciuto allora in quel lontano tirocinio. Si ricordava benissimo di lui: "Ma certo. Adesso sta benissimo, si è sposato, ha avuto anche dei figli". Che sensazione di pace ho avvertito dentro di me quando ho sentito queste parole di Giovanna! In quel periodo così tremendo poi...Caro B**** ovunque tu sia ti auguro davvero tutto il meglio dalla vita per te e la tua famiglia!

A B**** dedicai la mia tesi di diploma, “Il bambino sieropositivo e l’infermiere”, un lavoro appassionante dal quale iniziò il mio personale feeling con l'infermieristica pediatrica, feeling che ho poi coltivato anni dopo ricavandone grandissime soddisfazioni ed esperienze che oggi sono riposte in uno scrigno dal quale, ogni tanto, mi piace pescare i ricordi più belli della mia carriera.

Mara, la compagna di corso con la quale condivisi quel tirocinio, nell’ultimo giorno che trascorremmo insieme in pediatria mi fece un complimento che apprezzai davvero tanto per la sua sincerità: "prima di fare con te questo tirocinio pensavo che tu fossi solo un secchione antipatico, e invece conoscendoti e vedendoti coi bambini ho scoperto tutta un’altra persona!" Cara Mara! Non lo sapevo nemmeno io che persona ero allora!!

Francesco Eberli

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